Meet the designer – Pierluigi Rolando – 10
Proprio a proposito dello scalatore di Bressanone Pierluigi Rolando ricorda, non senza autocompiacimento, di quando al ritorno da un’impresa gli confessò quanto gli piacesse la riga bianca orizzontale appena al di sotto del ginocchio di una tuta blu, terminante nella parte inferiore con un inserto verde mela. Come amava sottolineare lo stilista, “i colori dovevano armonizzarsi con il paesaggio circostante, e io mi esaltavo pensando a come le tonalità scelte per Reinhold potessero fondersi con la neve ed il ghiaccio”.
Benché FILA fosse ormai una certezza (peraltro onnipresente negli stores mondiali), tuttavia, il tempo delle sfide non era finito e i primi anni Ottanta segnano il lancio di una collezione sci. Enrico Frachey, aggiornatissimo su tutto ciò che gravitava attorno al tema montagna, aveva anche in mente il testimonial ideale: Ingemar Stenmark, vincitore della Coppa del Mondo nello slalom gigante e speciale, nonché figura alta e slanciata per la quale inventare qualcosa di completamente nuovo. Rolando in persona racconta che fin dal principio per ‘Ingo’ era prevista una divisa gialla e blu, ispirata ai colori della bandiera svedese testimone delle sue origini. L’occasione era cruciale soprattutto per misurarsi con le sfide imposte dall’equipaggiamento tecnico: su tutte, la realizzazione di tute con specifiche protezioni per i gomiti.
Lo stilista cominciò a lavorare da subito su un elemento capace di allontanare, durante la discesa, i paletti piantati sulla pista, attutendone altresì il contatto nell’attimo del contraccolpo. Rolando sapeva che una simile performance non poteva essere garantita dalla lana, quanto piuttosto dai nuovi tessuti elastici con cui il marchio stava iniziando a sperimentare ai tempi. Per l’ennesima volta l’ispirazione proviene dal DNA: nasce l’F-BAR, la forma ‘a biscotto’ mutuata dal logo del marchio che il designer appone ad altezza braccio sul giubbino progettato per Stenmark. Il team FILA opta per l’alluminio, materiale leggero e resistente al tempo stesso, contrapposto ad uno spessore minimo in gomma.
L’insieme finale era un traguardo in termini estetici (“un’armatura medievale”, scrive Rolando); ben più importante, però, era la garanzia tecnica, e questo giustifica gli innumerevoli test in Val Senales, in Trentino, dove il campione svedese e la sua squadra si allenavano. A dispetto degli sforzi produttivi, il ‘giubbino Stenmark’ rimane un caso isolato nella storia FILA, che non viene replicato proprio a causa delle oggettive difficoltà di realizzazione. È forse proprio questo dettaglio, però, a sancirne il destino inequivocabile: lo status di pezzo da museo.