Bordocampo: Massimo Fila
Uno dei principali scopi del museo è ‘ambientare’, ovvero creare una dimensione di familiarità che accolga e in qualche modo faccia sentire a casa il visitatore. Per Massimo Fila tale meccanica affiora in maniera senz’altro peculiare ogni volta che torna in Fondazione: ed è inevitabile, dal momento che ciascuna sala racconta momenti inestricabilmente legati alla sua storia personale. Figlio di Giovanni Fila, ai tempi amministratore delegato del Maglificio Biellese F.lli Fila – MABY, assiste entusiasta alla creazione dell’incredibile gruppo creato da Enrico Frachey, con cui prende vita l’avventura di FILA SPORT. Massimo torna a trovarci spesso, anche per coinvolgerci in nuovi progetti. Abbiamo trasformato una delle visite più recenti in una vera e propria intervista: ecco com’è andata!
Cosa si prova nel vedere il proprio cognome associato ad uno dei marchi di vestiario più conosciuti e diffusi al mondo?
MASSIMO FILA: Orgoglio, fin dai tempi in cui tutto è nato. Ma anche soddisfazione e riconoscenza nei confronti di Gene Yoon, che nel 2007 ha donato nuova linfa ad un marchio che stava languendo. La mia è riconoscenza assoluta e disinteressata.
Qual è il Suo primo ricordo legato a FILA SPORT?
MF: Ricordo che un giorno mio padre arrivò a casa con due adesivi quadrangolari: uno di essi recava scritto WHITE LINE, l’altro presentava il logo F-BOX. Li applicai sull’automobile che usavo all’università, una Volkswagen Porsche, e giravo per le strade, fiero del nascente marchio.
E gli atleti del cuore? Ne avrà conosciuti molti…
MF: Björn Borg! Lo conobbi agli Internazionali di Roma nel 1976, quando frequentavo ancora l’università. Ai tempi circolavano rumors secondo cui Adriano Panatta avrebbe lasciato la compagnia a fine anno, nell’aria curiosità e preoccupazione si mescolavano. Si parlava però di un esordiente, un ragazzino svedese che proprio in quei giorni si trovava in città: Borg! Lo conobbi tra un suo allenamento e un match, aveva i capelli lunghi e trascorreva le sue giornate lanciando continuamente palline contro un muro. Gianni Fantini, importante membro del team, lo avvicinò e gli donò una maglietta FILA, che lui indossò subito esclamando ‘Thank you, thank you!’. Alla fine del ’76 Panatta ci lasciò e Borg fu immediatamente contattato, inaugurando l’era che oggi tutti conosciamo.
Devo dire che ho molti bei ricordi legati agli atleti FILA: Panatta e Bertolucci, dopo la storica vittoria della Davis Cup, in seguito a una visita aziendale festeggiarono venendo a pranzo a casa nostra, nella campagna biellese. Bertolucci e la sua famiglia, che gestiva il famoso Tennis Roma, venivano periodicamente a salutarci anche a Forte dei Marmi, dove eravamo soliti trascorrere le vacanze estive. Voglio infine evocare la simpatia di Guillermo Vilas, che un giorno, a Biella, confidò a mio padre: ‘no soy un atleta, soy un poeta!’.
Dal 2010 Fondazione FILA Museum svolge un ruolo proattivo nella salvaguardia della memoria storica del brand, nonché nello sviluppo delle nuove collezioni. Da erede e fruitore, cosa pensa dell’operato dell’ente?
MF: La Fondazione lavora in maniera fantastica e il museo, che ogni volta mi appare diverso, curato con gusto, è bellissimo: non si potrebbe far di meglio!
Nell’anno del centodecimo anniversario, è ormai chiaro che la storia di FILA è ancora tutta da scrivere, e sempre più rifletterà l’età moderna. Cosa augura al marchio e al suo avvenire?
MF: Altri centodieci anni, direi!
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