ETICHETTE: QUANDO IL TENNIS È DONNA
Nel 2017 Valerie Faris e Jonathan Dayton, registi di Little Miss Sunshine (2206) e Ruby Sparks (2012) tornano al cinema con Battle of the Sexes, film ispirato alla storia vera e incredibile della partita a tennis disputata nel 1973 da Billie Jean Kinge l’ex campione maschile Bobby Riggs. La pellicola racconta di un match seguito in TV da 90 milioni di telespettatori nel mondo, focalizzandosi inoltre sulle battaglie – sportive e non solo – di King (interpretata dal premio Oscar Emma Stone): una figura pioneristica, costantemente in lotta per i diritti delle atlete, in campo con abiti moderni e sempre cortissimi.
Gli anni Settanta e la controcultura femminista segnano una svolta in un secolo, il Novecento, che vede le donne combattere per un cambiamento riconoscibile anche nell’abbigliamento sportivo. A fine ‘800 il tennis su prato e il cricket chiedono alle giocatrici abiti bustier a maniche lunghe, con gonne voluminose e coprenti, rigorosamente bianchi. In A Social History of Tennis in Britain (2016), Robert J. Lake afferma che il pallore “era simbolo di virtù e purezza”, oltre che un modo per camuffare le macchie di sudore. I volumi di queste mise, tuttavia, evidenziano presto difficoltà di movimento che le tenniste – specie le più intraprendenti e spregiudicate – non sono disposte a sopportare.
Il 1920 è l’anno di Suzanne Lenglen, leggendaria campionessa francese che arriva a Wimbledon con un look che fa sensazione: niente busto, bensì polpacci e braccia scoperti, calze in seta e un cappello – disegnato dal couturier Jean Patou – che anticipa le moderne bandane. Lenglen è stata un’apparizione eccentrica, magnetica, una vera celebrità. La sua figura, negli anni Trenta, incoraggia l’adozione di polo e abiti cintati in vita, capaci di incoraggiare movimenti ampi e performanti. Tra i Quaranta e i Sessanta le americane Helen Wills Moody e Gertrude ‘Gussie’ Moran guadagnano l’attenzione del pubblico con top ricchi di ruches, shorts e gonne plissettate; Moran, nota anche come Gorgeous Gussy, esibisce pantaloncini in lamé o leopardati, disegnati dall’inglese Ted Tinling. Quest’ultimo è al servizio anche di un mito italiano, la milanese Lea Pericoli, che negli anni si distingue per tulle rosa e gonne in visone esposti anche al Victoria & Albert Museum di Londra.
La storia e l’evoluzione della moda sui campi da gioco incrocia le gesta delle campionesse FILA di cui vi parliamo tutti i mesi. L’australiana Evonne Goolagong Cawley, ad esempio, che negli anni Settanta, con una serie di completi giallo e verde pastello, diviene un modello internazionale. Oppure la serba Monica Seles, che alla fine degli anni Ottanta incarna l’animo più sbarazzino e grintoso dello sport: capelli raccolti a coda di cavallo, abiti dalle variopinte fantasie, giacche della tuta ampie e voluminose. Per terminare, infine, con un’altra fuoriclasse americana, Jennifer Capriati, il cui fisico tonico è sempre stato messo in risalto da colori sgargianti e grafiche iconiche, come le stelle bianche su fondo blu che fanno capolino anche nel nostro museo. Se la parità tra i sessi è un obiettivo che ancora necessita di conquiste, Fondazione FILA Museum e le sue tenniste ci ricordano, sala dopo sala, che il cambiamento è possibile.
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