SI ALZA IL VENTO
SECONDO CAPPELLO
A cosa pensano gli uccelli quando non volano? Quando sono a terra o nei loro nidi, quando non dominano il cielo con la fierezza di chi ha un dono precluso a molti esseri viventi.
Me lo chiedo a bordocampo, sulla panchina, mentre avvolgo il polpaccio in un manto di bende. “È solo una distorsione, potrai riprendere a tirare a canestro tra un paio di settimane”, ha sentenziato ieri il medico. Sarà, ma a me il muscolo duole ancora, e non poco.
È capitato nel corso di una partita, starete pensando. Invece no. Come spesso accade, gli inconvenienti più stupidi capitano quando ti rilassi e non ci pensi. Una settimana fa sono andato a comprare questo cappellino FILA e uscendo dal negozio, preda della contentezza, non ho fatto caso alla possibilità di incontrare scalini sul mio cammino. Erano tre, nella fattispecie: il mio sguardo li ha ignorati tutti. Non è stato un salto, è stato un balzo nel vuoto. Avere gambe lunghe, sappiatelo, non è sempre un privilegio: significa solo che i tuoi piedi toccheranno terra con maggior anticipo, stortandosi con estrema facilità.
Il resto è storia, direbbe qualcuno. Una storia che mi vede in panchina, con un cappellino che speravo di sfoggiare in partita ma in realtà mi tiene in compagnia sugli spalti semideserti. Già, perché gli altri sono tutti in campo – a correre, a saltare, piroettare: nessuno si cura di chi zoppica, è una perdita di tempo. Decido allora di allontanarmi insieme alla fedele stampella. Il palazzetto dello sport è circondato da un parchetto, da un manto erboso privo di particolar cura. “Dannato cappello”, sussurro quasi parlandogli, mentre lo sfilo dal capo. Per colpa tua sono qui, costretto a terra, mentre gli altri spiccano il volo. La risposta alla mia provocazione è uno sbuffo di vento, che trasporta il berretto poco distante, tra i ciuffi d’erba. Ci manca solo che lo perda, questo cappellino. Con la stampella mi porto in avanti, sono sei passi ma paiono almeno il doppio. Mi chino verso terra e lo raccolgo, è un cappellino con visiera ma sembra essersi tramutato in un cilindro. Mentre lo tiro su, infatti, compare la sorpresa, appare per magia.
È un passerotto, credo. Gli uccellini si somigliano tutti nei libri illustrati, quando sei piccolo nessuno ti insegna realmente a distinguere le varie specie volatili. A giudicare dalle piume color mattone, tuttavia, credo sia un passerotto, sì. L’ala destra ciondola, è ferita: non riesce più a spiccare il volo, un po’ come il sottoscritto. Si lascia toccare, mentre mi fissa con occhi piccoli e vitrei. Credo si fidi, probabilmente ha riconosciuto un suo simile. Il cappellino è diventato un nido, lo accoglie finché mio papà non passerà a prenderci.
Non so a cosa pensino gli uccelli quando non possono volare, ma ho la sensazione che in questi giorni, mentre ci prenderemo cura l’un l’altro osservando il cielo da terra, lo scoprirò.
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